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LA LOCANDA DI PIERO E LA “FILOSOFIA DEL CERCHIO” DELLO CHEF RIZZARDI

Il ristorante che ruota attorno al cliente. “Non solo ottima cucina L’abilità del ristoratore è bilanciare al meglio ogni elemento del locale”

lunedì 05 settembre 2011
Il Ristorante "La Locanda di Piero" Il Ristorante "La Locanda di Piero" E’ uno degli chef di punta della ristorazione vicentina e con la sua “La Locanda di Piero” è un punto di riferimento per chi ama la buona tavola, al punto da potersi fregiare della prestigiosa “Stella Michelin”. Renato Rizzardi, pur avendo raggiunto traguardi che pochi altri possono vantare, non si siede certo sugli allori: il suo regno è la cucina, certo, ma è chiaro che un ottimo ristorante è molto più di un piatto preparato divinamente. Così anche uno chef pluripremiato deve fare i conti con le tante sfide che investono, ogni giorno, chi fa ristorazione. E per capire come uno stellato le affronta, Confcommercio Veneto Notizie ha deciso di intervistarlo in questa prima puntata di un viaggio tra i cuochi testimonial della tradizione gastronomica vicentina.

Rizzardi, come si distingue oggi un ristorante di qualità. Solo dalla cucina d’eccellenza o da che altro?
“A me piace dare del ristorante l’immagine di un cerchio: al centro c’è il cliente attorno al quale deve ruotare ogni singolo elemento del locale, vale a dire la cucina, senza dubbio, ma anche il tovagliato, il servizio in sala, persino la scelta dell’acqua minerale e così via.  Il problema consiste proprio nel riuscire a formare questo cerchio perfetto, perché ciò richiede l’abilità di bilanciare al meglio ogni singolo elemento. E, altro aspetto fondamentale,  farlo con continuità”.
La cucina comunque ha un ruolo fondamentale. Cosa conta in questo caso: più la preparazione professionale o più la personalità?
“La personalità ha un ruolo importantissimo, perché chi ti sceglie lo fa anche in quanto hai la capacità di caratterizzare i tuoi piatti, di renderli personali, appunto. Ma attenzione, il rischio è quello di pensare, quando ad esempio un piatto non è apprezzato, che il genio sei tu e gli altri non capiscono nulla. Lo chef d’eccellenza deve invece, a mio avviso, ampliare il proprio gusto, mettersi dalla parte del cliente, capire cosa può piacergli per attirarlo verso il suo stile e poi sorprenderlo con l’originalità. Qui l’esperienza, la professionalità ha un gioco importantissimo. Non a caso, quando creo un piatto nuovo “di getto”poi ritengo professionalmente importante saper giudicare con obiettività il risultato”.
E la tecnologia. Qual è il suo ruolo nella ristorazione moderna?
“Fondamentale. Una volta in cucina si lavorava per esperienza, oggi ritengo non ci sia alternativa al lavorare per conoscenza scientifica. Il cuoco deve saper padroneggiare la natura degli ingredienti che utilizza e tutte le componenti che entrano in gioco nelle lavorazioni e nella cottura dei piatti. E poi dobbiamo saper usare tutte le tecnologie oggi disponibili: sottovuoto, abbattitori, basse temperature, perché ci consentono non solo di razionalizzare il nostro lavoro, ma anche di garantire una qualità costante nel tempo dei nostri piatti in qualsiasi circostanza. E’ grazie anche a questo che siamo riusciti a tarare la nostra cucina e il nostro servizio in modo da garantire la medesima qualità e la stessa efficienza sia quando il locale è pieno che quando abbiamo pochi tavoli occupati”.
A proposito di costanza nel lavoro, come gestite una problematica molto sentita dai ristoranti di alto livello come il pranzo nei giorni feriali?
“Per scelta abbiamo deciso di non creare menu ad hoc per la pausa lavoro. Sappiamo che in queste circostanze si tende ad ordinare un piatto, ma noi, oltre a servire sempre porzioni abbondanti, aggiungiamo sempre un apetizer all’inizio e della piccola pasticceria a fine pasto. Così, con un prezzo ragionevole, chi ci sceglie sa di poter mangiare bene e quanto basta. Anche la sera, comunque, la tendenza è oramai quella di ordinare meno portate e a volte non è solo una questione di costi, ma anche della giusta abitudine a non esagerare a tavola”.
E in questo caso come avete affrontato questo mutamento di consuetudini?
“Per chi vuole mangiare il giusto, ma ama assaggiare più pietanze, proponiamo due piccoli menu degustazione, differenziati con prodotti “di terra” e “di mare”. E’ una successione di mezze portate varia e completa, molto apprezzata dalla clientela”.
Torniamo agli aspetti gestionali del ristorante, le pesa non doversi occupare solo della cucina?
“Rifarei mille volte il mestiere di cuoco ed è ovvio che il sogno di ogni chef è quello di avere un proprio locale, ma obiettivamente quello del ristoratore è una professione sempre più difficile. E finito il tempo del “ristorante poesia”, oramai serve una preparazione manageriale di alto livello che spazia dalla gestione degli acquisti a quella del personale, dal marketing all’amministrazione. A La Locanda di Piero siamo fortunatamente riusciti a creare uno staff di persone che ci danno un grande supporto nella gestione del locale, ma mi rendo conto che uno dei problemi più importanti per le aziende della ristorazione è il reperimento di personale qualificato”.
Anche perché oggi la formazione che viene dalle scuole non sempre è all’altezza.
“Mancano spesso le competenze pratiche e alla fine questi ragazzi si fanno le ossa in azienda”.
Pensa che l’Università del Gusto, recentemente creata da Confcommercio Vicenza, possa essere una risposta a questa esigenza?
“E il mio auspicio e guardo a questa nuovo proposta formativa con molto interesse. Credo che se si riuscirà a garantire una docenza di alto livello e corsi orientati alle specifiche richieste delle nostre imprese sarà un contributo positivo per tutti, a cominciare da noi cuochi e ristoratori che dobbiamo, se vogliamo progredire, rinnovarci costantemente, studiare continuamente”.
A proposito di innovazione, come vede lei la potenzialità di Internet sul fronte della promozione dei ristoranti?
“Come un treno che, se non ci diamo una mossa noi ristoratori anche in prima persona, rischiamo di perdere. Personalmente cerco di dedicarci più tempo possibile, ma in verità mi rendo conto che è sempre troppo poco rispetto alle enormi potenzialità del mezzo, in particolare dei social network”.


Da Vicenza a San Francisco passando per Imola. E poi la Stella.
Renato Rizzardi, la gavetta e il successo
Renato Rizzardi, classe 1961, ha alle spalle una “gavetta” di tutto rispetto, costellata di premi e riconoscimenti. Nel 1982 inizia a lavorare al ristorante San Domenico di Imola dove riceve le basi della sua preparazione (è infatti diplomato geometra). Nel 1984 il grande salto: viene assunto al ristorante Donatello di San Francisco in qualità di chef consulente diventando, nel giro di un anno Executive chef e nel 1985, Master Chef of California. Il suo sogno però è aprire un ristorante tutto suo e così torna in Italia lavorando prima all’Antico Brolo di Padova e poi, il primo gennaio 1992, acquistando La Locanda di Piero a Montecchio Precalcino. Nel 1994 diventa socio del ristorante Sergio Olivetti, che si prende cura del servizio in sala e della cantina.
Dal 1985 per La Locanda di Piero inizia una scalata di successi: prima entra a far parte dei Jeunes Restaurateurs d’Europa; quindi, nel 1998, arriva la prima Stella Michelin.
Un cammino prestigioso, dunque, per la cucina di Renato Rizzardi, felice connubio tra creatività, tradizione locale e stagionalità dei prodotti, con un tocco di classe anche nelle presentazioni. Perchè qui nulla viene lasciato al caso.

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