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UN CORO DI NO SU ORARI E APERTURE

Esposte migliaia di locandine di protesta. Cresce il fronte anti liberalizzazioni. Critici sul lavoro 365 giorni l’anno anche sindacati, Chiesa e molti imprenditori

martedì 13 marzo 2012
Un'immagine della locandina affissa nei negozi del Veneto Un'immagine della locandina affissa nei negozi del Veneto Locandine affisse in tutti i negozi del Veneto, pagine acquistate sui principali quotidiani per spiegare il no alle liberalizzazioni di orari e aperture dei negozi, avvocati in campo ad affiancare la Regione nella propria battaglia per far valere la competenza locale (e non nazionale) in materia di commercio. Mentre si attende la sentenza del Tar del Veneto che il 22 febbraio potrebbe sancire a chi andrà il primo round tra Gdo e Regione nella guerra delle aperture domenicali, è un’azione a tutto campo quella che vede in prima linea oramai da settimane Confcommercio Veneto e le Associazioni provinciali per difendere il diritto al riposo festivo dei negozi, sancito da una recente legge regionale, in contrasto, però, con la totale deregulation introdotta dalla Manovra Monti. D’altronde la posta in gioco è davvero alta:  tutelare la sopravvivenza di migliaia di esercizi di vicinato contro quella parte della Grande Distribuzione Organizzata (non tutta perché alcuni gruppi si sono schierati diversamente) che vorrebbe scalzare la concorrenza dei più piccoli a suon di aperture 365 giorni l’anno.

A mascherare, in parte, quelle che potrebbero essere le conseguenze delle decisioni del Governo in tema di commercio c’è una parola che è diventata un po’ una bandiera: liberalizzazioni. Ed è vero, in effetti, che di liberalizzazioni il nostro Paese ha urgente bisogno per crescere, ma non certo in un settore, quello del commercio, liberalizzato fin dal 1998 attraverso i provvedimenti introdotti dall’allora ministro Bersani. Ed è proprio su questa contraddizione che punta la campagna di Confcommercio Veneto: “Presidente Monti – si legge nelle locandine esposte nei negozi e nelle pagine a pagamento dei giornali - pensi a liberalizzazioni davvero utili: energia, finanza, credito, poste, infrastrutture. La liberalizzazione del commercio non crea ricchezza, distrugge la pluralità dell’offerta distributiva, desertifica i centri storici, penalizza i titolari e i dipendenti del commercio. Non serve a salvare l’Italia”.
“La nostra non è una mera difesa corporativa, ma del bene collettivo – spiega Masimo Zanon, presidente di Confcommercio Veneto. –. Le nostre imprese, infatti, rappresentano un servizio alla collettività, soprattutto in riferimento alle fasce deboli della popolazione. C’è poi l’aspetto relativo all’equilibrio della distribuzione, oltre che del territorio che va salvaguardato”.

“Non sono certo queste le liberalizzazioni che gli italiani si aspettavano – dice Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza –. Ad oggi il Governo ha agito con decisione solo sugli  orari dei negozi, mentre non c’è stata nessuna azione davvero efficace per introdurre una reale concorrenza o per togliere le rendite di posizione in altri settori ben più strategici, come quello energetico, trasporti, banche, assicurazioni, autostrade, poste, utilities, nei quali è prioritario introdurre assetti di mercato realmente competitivi. Queste sono le liberalizzazioni che gli italiani attendono sul serio e che possono agevolare la ripresa del Paese. Invece, pur nell’evidenza che i portafogli dei cittadini sono sempre più vuoti,  si è pensato di offrire loro più occasioni di spesa…, nell’obiettivo di “salvare l’Italia””.

Il primo round di questa battaglia, come si diceva, si giocherà il 22 febbraio davanti al Tar del Veneto, dove tra l’altro la Confcommercio regionale ha presentato un contro-ricorso affidato agli avvocati Mario Bertolissi, ordinario di diritto costituzionale e Carola Pagliarin, associato didiritto amministrativo all’Università di Padova.
Ma non c’è solo la voce di Confcommercio contro questa deregulation. Confcommercio Veneto Notizie ha raccolto, in queste pagine, alcune posizioni significative del mondo imprenditoriale, sindacale ed ecclesiastico, proprio per sottolineare come il no alla deregulation su orari e aperture sia trasversale e ampio e non risponda solo alla legittima tutela degli interessi delle aziende del settore, ma sia anche e soprattutto una questione di qualità della vita e, in una parola, di civiltà.

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