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CALCOLO DELLE PENSIONI, TRA SISTEMA RETRIBUTIVO, MISTO E CONTRIBUTIVO

Il "nuovo misto", il "tetto retributivo" e i coefficenti di calcolo in base all'età: i parametri che incidono sull'assegno di quiescenza

lunedì 02 marzo 2015
Fonte: 50&PIU' nazionale

Già dal 2012 non ci sono più differenze, tra lavoratori, circa il criterio di calcolo delle pensioni. La riforma “Monti” (legge n. 214/2011), infatti, ha previsto per tutti il “sistema di calcolo contributivo”.
In altre parole, per le anzianità contributive maturate a partire dal 1° gennaio 2012, le relative quote di pensione sono calcolate tutte con il sistema contributivo, anche per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano già versato 18 anni di contributi. Ma vediamop da vicino come funziona il calcolo delle pensioni, ricordando  a questo proposito, che per quanto riguarda tutti gli aspetti previdenziali è sempre a disposizione il servizio di consulenza gratuito del Patronato 50&Più Enasco presente nella sede Confcommercio di Vicenza e nei mandamenti (tel. 0444 964300). 

Il sistema retributivo, misto e contributivo
Con la riforma “Dini” (legge n. 335/1995), il sistema di calcolo delle pensioni si differenziava a seconda dell’anzianità contributiva maturata dal lavoratore alla data del 31 dicembre 1995:

  • per chi poteva contare su almeno 18 anni di contributi (compreso i contributi figurativi e da riscatto), si applicava il cosiddetto sistema “retributivo”, legato appunto alle retribuzioni dell’ultimo periodo lavorativo;
  • per chi aveva meno di 18 anni di contributi, il criterio utilizzato era misto, e cioè “retributivo” per l’anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995 e “contributivo” per i periodi di attività successivi al 1° gennaio 1996;
  • per chi aveva cominciato a lavorare successivamente al 31 dicembre 1995, ossia dal 1° gennaio 1996, si applicava, invece, il solo criterio contributivo, strettamente collegato al valore dei contributi versati.


La situazione attuale
La riforma “Dini”, con la triplice possibilità di calcolo della pensione, rimane in vita esclusivamente per coloro che sono andati in pensione maturando i requisiti entro il 31 dicembre 2011. A partire dal 1° gennaio 2012, invece, ossia per le anzianità maturate da tale data in avanti, esiste solo il sistema contributivo; di conseguenza, non c’è alcuna novità per chi già appartiene a questo regime (coloro che hanno cominciato a lavorare dal 1° gennaio 1996) e per chi è nel sistema misto. Invece, chi nel 2011 si trovava nel sistema retributivo, dal gennaio 2012 è passato al nuovo misto: le anzianità fino al 31 dicembre 2011 danno vita a una quota di pensione retributiva, mentre le anzianità dal 1° gennaio 2012 in poi danno vita a una quota di pensione contributiva
Una novità invece prevista dalla legge di stabilità 2015 (n. 190/2014) ha introdotto da quest’anno un tetto ai pensionati del vecchio regime “retributivo” (quelli occupati prima del 1996) i quali non possono più maturare né incassare pensioni d’importo superiore a quello calcolato con la regola retributiva anche se nell’ultima parte della vita lavorativa sono stati sottoposti al regime contributivo. La nuova norma, poi, produce effetti, dal 1° gennaio 2015, su tutte le pensioni, sia su quelle da liquidare che su quelle già liquidate. E’ stata così corretta una anomalia introdotta dalla riforma “Fornero”, con l’estensione a partire dal 2012 della regola contributiva a tutti i lavoratori. In pratica succedeva che, in presenza di alte retribuzioni, ai lavoratori dell’ex regime retributivo consentiva di maturare pensioni più alte di quelle che avrebbero ricevuto se fossero rimasti con il vecchio regime retributivo.

Come funziona il sistema contributivo
Il sistema di calcolo contributivo funziona grosso modo come un libretto di risparmio. Il lavoratore accantona ogni anno i versamenti:

  • se è un lavoratore dipendente l’accantonamento è pari al 33% dello stipendio;
  • se è un lavoratore autonomo (artigiano, commerciante) accantona il 22,29% del proprio reddito (misura che salirà fino a raggiungere il 24% entro l’anno 2018);
  • se è un collaboratore (Co.Co.Pro.) accantona il 27% del proprio compenso (misura che salirà fino a raggiungere il 33%  a partire dal 2018).

I contributi possono essere calcolati però fino ad un certo importo  di reddito o retribuzione, questo limite, per il 2015, è pari a 100.424 euro (cosiddetto “tetto contributivo pensionabile”).

I contributi versati costituiscono il montante contributivo e producono una sorta di interesse composto, al tasso legato alla dinamica quinquennale del PIL   (prodotto interno lordo). Quindi più cresce l’Azienda Italia, maggiori sono le rendite su cui i lavoratori possono contare.                                                                                                                                                                                                                                      


I coefficienti di calcolo
Alla data del pensionamento, al montante contributivo rivalutato è applicato un coefficiente, detto di trasformazione, che converte i contributi in pensione. La misura di tale coefficiente cresce con l’aumentare dell’età.
Con il Decreto Ministeriale del 15 maggio 2012, sono stati fissati i nuovi coefficienti per il calcolo della pensione per tutti i lavoratori che hanno ottenuto la pensione dal 1° gennaio 2013 e che otterranno tale trattamento fino al 31 dicembre 2015.
Questi coefficienti non riguardano più soltanto le età da 57 a 65 anni, ma sono stati allungati fino a 70 anni per incentivare facoltativamente la permanenza al lavoro, nella prospettiva di conseguire una pensione più alta.
E cio’ vale soprattutto per coloro che sono andati o andranno in pensione – tra il 2013 e 2015 – con un’età non superiore a 65 anni, in questo caso dovranno subire – per effetto di detti nuovi coefficienti – un taglio della prestazione pensionistica che supera in alcuni casi l’11%.
Supponiamo ad esempio che un lavoratore abbia accumulato un montante contributivo di 400 mila euro. Quando decide di ottenere la pensione, l’importo della stessa verrà calcolato applicando alle 400 mila euro il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età raggiunta in quel momento.
Se il lavoratore va in pensione nel 2014, bisogna fare riferimento ai nuovi coefficienti. In tal caso, se chiede la pensione a 60 anni otterrà una pensione annua lorda di 18.644 euro (400.000 moltiplicato 4,661%); se la prestazione la chiede a 65 anni riceverà 21.740 euro (400.000 moltiplicato 5,435%); se va in pensione a 70 anni avrà diritto a 26.164 euro (400.000 moltiplicato 6,541%).
 Infine, una delle novità della Riforma “Monti-Fornero”, con riferimento alla nuova pensione di vecchiaia, è la facoltà ai lavoratori di rimanere al lavoro fino a 70 anni, al fine di migliorare in questo modo il proprio assegno di pensione.
Come si è detto, i nuovi coefficienti sono stati determinati anche per le età che vanno dai 66 ai 70 anni.
Ad oggi sono stati fissati i coefficienti per gli anni 2013-2015 che crescono con il crescere dell’età , proprio perché la loro determinazione è stata fatta tenendo conto del fine di migliorare la misura della pensione a chi ritarda l’uscita dal lavoro.
Il prossimo aggiornamento dei coefficienti è previsto quest’anno e la revisione riguarderà i pensionati con decorrenza nel triennio 2016-2019, per i quali probabilmente potranno ottenere la pensione quattro mesi più tardi. Dall’anno 2019 in poi, invece, la revisione dei coefficienti avrà una cadenza biennale. 

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