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IL NUOVO CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA

Le novità, gli obblighi, gli indici d’allerta, ma soprattutto la necessità di una nuova cultura imprenditoriale

giovedì 05 marzo 2020

Con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, varato con il Decreto Legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019, l’Italia si è adeguata agli altri paesi europei, introducendo una normativa che, attraverso strumenti d’allerta, si prefigge di anticipare l’emersione della crisi aziendale. Tale riforma, varata in sostituzione della  precedente legge fallimentare, ha l’obiettivo di intercettare tempestivamente le crisi d’impresa, prima che si traducano in veri e propri default.
Il punto cardine della normativa è l'obbligo, imposto a tutte le imprese, di dotarsi di procedure idonee a prevedere stati di crisi e di possibile perdita della continuità aziendale. La Riforma, inoltre, istituisce la procedura di segnalazione d’allerta all’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi).

Gli OCRI sono costituiti presso ciascuna Camera di Commercio ed ad essi è affidato il compito di:

  • ricevere le segnalazioni sui fondati indizi di crisi dell’impresa, così come comunicati dagli organi di controllo societario o dai creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate; INPS; Agente per la riscossione) o anche direttamente dall’imprenditore in crisi;
  • gestire la situazione di crisi cercando – in un tempo brevissimo (90/180 giorni) – di risolvere lo squilibrio finanziario.
  • Va detto che, mentre alcune delle modifiche al codice civile apportate con il decreto in questione sono già entrate in vigore il 16 marzo 2019 (30 giorni dopo la pubblicazione del D. Leg. n.14/2019 in G.U.), il codice della crisi d’impresa entra  in vigore il 15 agosto 2020, tranne gli art. 14 e 15 cioè quelli riguardanti gli obblighi di segnalazione della situazione di crisi all’OCRI.  L’entrata in vigore di queste disposizioni slitta al 15 febbraio 2021  per tutte le piccole e medie imprese interessate dal codice (art.11 D.L. n. 9 del 2 marzo 2020) e  per le «micro imprese» con un fatturato inferiore a 4 milioni.

COSA DEVE FARE L’IMPRENDITORE.

Innanzitutto, per far fronte alla regolamentazione stabilita nel Codice della crisi e dell’insolvenza, le imprese dovrebbero poter contare su di un assetto organizzativo adeguato ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione delle idonee iniziative. Concretamente, quindi, l’imprenditore dovrebbe dotarsi di strumenti di controllo in grado di monitorare la dinamica dei flussi economico - finanziari. Inoltre, adottare un sistematico controllo di gestione dei flussi di cassa, budget e un piano d’impresa che permettano di rilevare eventuali segnali di crisi e, nell’eventualità, impostare una strategia per riportare in equilibrio economico, patrimoniale e/o finanziario la propria azienda, anche con un apposito piano di risanamento.

Inoltre, l’art. 378 del decreto obbliga alla nomina dell’organo di controllo o del revisore, se la società è a responsabilità limitata o cooperativa:

  1. è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
  2. controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;
  3. ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti:
  • il totale dell’attivo dello stato patrimoniale è maggiore di 4 milioni di euro;
  • i ricavi delle vendite e delle prestazioni superano i 4 milioni di euro;
  • i dipendenti occupati in media durante l’esercizio superano le 20 unità.

L’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore è considerato partendo dagli esercizi 2017 -2018.
Le SRL e le cooperative saranno, per questo, chiamate a verificare i propri statuti o atti costitutivi.

LA PROCEDURA D’ALLERTA.

In caso di difficoltà dell’impresa, secondo il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, l’imprenditore “deve attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (Art 374.2).
Lo stato di crisi è definito come lo squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.
In questo caso, o l’imprenditore riesce a riportare in equilibrio l’azienda oppure, se non ci riesce, sia operando da solo, sia ricorrendo a esperti specializzati, potrebbe scattare la Procedura di Allerta, vale a dire sistema volto a trovare un accordo tra i creditori senza che la crisi sfoci in un’insolvenza.
L’allerta potrà essere attivata con una procedura interna o esterna. Si  tratta della segnalazione che ha per destinatari l’OCRI e i medesimi organi di controllo societario.
E’ interna se attivata dall’imprenditore (che in questo modo può evitare pesanti sanzioni) o se è attivata dal collegio sindacale, dal revisore o dal sindaco (che, qualora non attivassero la segnalazione di situazione di crisi, potrebbero incorrere in gravi responsabilità).
E’ esterna se attivata dall’Agenzia delle Entrate, dall’INPS o dall’agente della riscossione, qualora l’ammontare delle cartelle esattoriali e/o dei debiti INPS supera determinati livelli.
La procedura di composizione della crisi è guidata da un collegio di tre esperti nominati dal cosiddetto OCRI (Organismo di composizione della crisi d’impresa). La procedura di allerta avrà una durata di tre/sei mesi per raggiungere un accordo con i propri creditori. Qualora non sia stato raggiunto l’accordo e risulti lo stato di crisi dell’impresa, l’OCRI invita l’impresa ad aprire una delle procedure di insolvenza tradizionali. In alcuni casi specifici (come ad esempio se l’imprenditore non apre a valle dell’esito negativo dell’Ocri una procedura esecutiva)  l’OCRI potrà effettuare una segnalazione al Pubblico Ministero.

LE MISURE PREMIALI.

Il legislatore ha previsto un sistema di misure premiali a favore degli imprenditori che di propria iniziativa presentano tempestivamente istanza di composizione assistita della crisi all’OCRI, o direttamente domanda di ammissione ad una delle procedure giudiziali di regolazione della crisi o dell’insolvenza. Volendo riassumere i benefici, si va dal pagamento di interessi sui debiti, calcolati con l’applicazione del tasso legale, così come sui debiti fiscali dell’impresa; a sanzioni tributarie applicate in misura ridotta; a termini doppi rispetto a quelli ordinari in caso di proposta di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ecc. Il testo della riforma prevede, inoltre, dei benefici penali in caso di bancarotta, sia semplice che fraudolenta, se l’imprenditore si attiva prontamente a segnalare la crisi d’impresa Inoltre, per  l’imprenditore che presenta tempestivamente l’istanza per accedere alle procedure per scongiurare la crisi d’impresa, il legislatore riduce sensibilmente la pressione penale per eventi di modesta entità e rilevanza, sempre nell’ottica di favorire la ripresa dell’attività imprenditoriale.

GLI INDICI IN GRADO DI FAR PRESUMERE LO STATO DI CRISI D’IMPRESA.

Alcune simulazioni sul nuovo regime di allerta, eseguite su richiesta del Ministero della Giustizia, utilizzando indici di bilancio di insieme di imprese, hanno evidenziato che il numero di segnalazioni rischia di essere molto elevato.Cerchiamo di chiarire come calcolare questi Indici e quando questi evidenziano uno stato di allerta.
Al fine di consentire l’individuazione di indici capaci di cogliere compiutamente i suddetti squilibri, il Legislatore ha delegato il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (CNDCEC) per elaborarli con cadenza almeno triennale.
Costituiscono indicatori della crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività.

1)Patrimonio netto negativo. Qualora dal bilancio emerga un patrimonio netto di segno negativo, la crisi risulterebbe inevitabile,  in quanto si presume sia pregiudicata la continuità aziendale. Il superamento di tale situazione richiede la ricapitalizzazione dell’impresa per un importo sufficiente a ricostituire almeno il minimo legale del capitale sociale.

2)DSCR. In presenza di un patrimonio netto positivo, il secondo indice da considerare è il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) a 6 mesi, che viene calcolato come il rapporto tra i flussi di cassa liberi previsti nei 6 mesi successivi e l’ammontare dei debiti attesi da rimborsare nel medesimo periodo di tempo. Un valore inferiore ad 1 è indicativo di uno stato di squilibrio. Valori superiori a 1,  invece, evidenziano un equilibrio finanziario ed uno stato di solvibilità dell’azienda.

Le difficoltà nel calcolo del DSCR e/o la sua inadeguatezza nel fornire l’informazione sullo stato di salute delle imprese, impone al valutatore di proseguire l’indagine applicando i seguenti cinque indici proposti dal CNDCEC:

- rapporto tra oneri finanziari e fatturato. Tanto maggiore è il fatturato tanto minore risulta il peso della componente finanziaria sul conto economico;

- rapporto tra il patrimonio netto e l’ammontare complessivo dei debiti. Esprime il rapporto di indebitamento, misurando l’adeguatezza patrimoniale dell’impresa. Tanto minore risulta il valore che emerge dal rapporto tanto più l’impresa risulta sottocapitalizzata ed indebitata;

- rapporto tra il cash flow e il totale attivo. Misura la cassa generata da ogni euro investito. Questo indice esprime una misura finanziaria del ROI – Return On Investment se si utilizza il cash flow generato dalla gestione caratteristica;

- rapporto tra attivo e passivo a breve termine. E’ una prima misura della condizione di liquidità dell’impresa. La logica alla base di tale indice è la contrapposizione tra gli asset che si trasformeranno in cassa entro i futuri dodici mesi e le passività da estinguere nel medesimo orizzonte temporale. Tuttavia, la dottrina economico aziendale ha da tempo evidenziato come tale indice possa essere forviante, poiché al numeratore viene ricompreso anche il valore del magazzino la cui trasformazione in cassa nel breve termine è tutt’altro che certa. Per ovviare a tale limite, la dottrina propone ulteriori due indici: il primo rapporta le attività a breve, tra cui non viene ricompreso il magazzino, e le passività a breve; il secondo, invece, rapporta le attività liquide o liquidabili entro tre mesi con le passività a breve termine. Valori superiori all’unità del primo e soprattutto del secondo manifestano l’equilibrio finanziario nei dodici mesi;

- rapporto tra la somma dei debiti tributari e quelli previdenziali e il totale attivo misura il livello di indebitamento verso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS. Tale rapporto assume rilievo soprattutto per effetto della previsione normativa circa la segnalazione di crisi che può essere effettuata dall’Agenzia delle entrate, dall’INPS e dall’Agente della riscossione.

COSA FARE.

La necessità di determinare periodicamente gli indici illustrati in precedenza impone alle imprese di adeguare il proprio sistema informativo al fine di raccogliere tempestivamente i dati necessari ed estrapolare informazioni sui flussi di cassa in modo più agevole e soprattutto veloce.
Ad oggi, parlare dell’utilità e analizzare il cash flow nelle PMI - e in certi casi, anche nelle imprese di più grandi dimensioni - risulta complicato, poiché i dati contabili vengono rilevati per finalità differenti, ovvero per finalità prevalentemente fiscali.
Con la normativa sulla crisi d’impresa, invece, si pone l’accento sul concetto di cash flow (a consuntivo e soprattutto prospettico) poiché esso rappresenta uno dei valori su cui basare la valutazione dello stato di salute dell’impresa.

ALTRE NOVITA’ INTERVENUTE CON IL CODICE DELLA CRISI.

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha semplificato le disposizioni in materia concorsuale; esso, infatti, stabilisce la riduzione dei tempi e dei costi delle procedure concorsuali; armonizza le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con forme di tutela dei dipendenti; sostituisce il termine fallimento con l’espressione “liquidazione giudiziale” analogamente a quanto avviene in altri Paesi europei, come la Francia o la Spagna, al fine di evitare l’onta sociale e personale che si accompagna alla parola “fallito”.
Presso il Ministero della Giustizia viene istituito un albo dei soggetti destinati a svolgere funzioni di gestione o di controllo nell’ambito di procedure concorsuali, cui sarà il Tribunale ad assegnare l’incarico. Per l’iscrizione a tale albo dovranno essere rispettati i requisiti di professionalità esperienza e indipendenza  richiesti dal ruolo. 

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