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CONSUMI IN CALO A MARZO, PREOCCUPA L’INFLAZIONE “PERCEPITA”

I dati Istati confermano il rallentamento delle vendite, particolarmente evidente su base annua. E Confcommercio Veneto sottolinea le preoccupazioni dei consumatori

lunedì 12 maggio 2025
CONSUMI IN CALO A MARZO, PREOCCUPA L’INFLAZIONE “PERCEPITA” CONSUMI IN CALO A MARZO, PREOCCUPA L’INFLAZIONE “PERCEPITA”

Marzo si chiude con il segno meno per il commercio al dettaglio italiano. Secondo le stime diffuse dall’Istat, le vendite scendono dello 0,5% rispetto a febbraio, sia in valore che in volume. Una battuta d’arresto che coinvolge tanto gli alimentari quanto i prodotti non alimentari, entrambi in calo.

Nel complesso, il primo trimestre del 2025 si chiude con un segno meno: -0,2% in valore e -0,5% in volume. I consumi non riescono a ripartire, con gli alimentari in flessione dello 0,1% e i non alimentari che segnano un -0,4%.

Su base annua, il quadro si fa ancora più pesante: rispetto a marzo 2024, le vendite al dettaglio perdono il 2,8% in valore e il 4,2% in volume. A pesare sono soprattutto gli alimentari, che scivolano del 4,2% in valore e addirittura del 6,7% in volume. I beni non alimentari reggono un po’ meglio, ma il trend resta negativo (-1,4% e -2,1%). Qualche spiraglio si intravede solo per i prodotti per la cura della persona (+1,8%) e i farmaceutici (+0,6%).

Male invece la cartoleria e i libri (-4,5%) e le calzature (-4,2%). Anche guardando alle diverse forme di vendita non si salva nessuno: giù la grande distribuzione (-2,6%), le piccole superfici (-3,1%), le vendite fuori dai negozi (-4,7%) e perfino l’e-commerce, che segna un -1,3%.

A influire sui consumi e in generale sulla volontà di mettere mano al portafogli degli italiani è certamente anche, come rileva una recente indagine, la percezione che sia diminuita la capacità di spesa. Secondo una rilevazione di Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore del Lunedì, infatti, ad un’inflazione reale stimata al 2%, si contrappone un’inflazione percepita da consumatori al 10%, dunque cinque volte tanto.
“Sono mesi che i nostri associati lamentano un calo dei consumi (a marzo -0,5% rispetto a febbraio) - dichiara il presidente di Confcommercio Veneto Patrizio Bertin in una nota divulgata nei giorni scorsi- calo che finisce per incidere sulle entrate delle imprese a fronte di un aumento dei costi. Il risultato, è che si va sempre meno al ristorante (lo dice il 51%), a qualche giorno di ferie si sopperisce con una gita fuoriporta (48%), si fa a meno del capo di abbigliamento “sicuro” per buttarsi sul low cost cinese (48%); si rinuncia alla visita specialistica (22%) e anche alla cultura e al tempo libero (18%)".

Detto di pesce (36%), vino (34%) e birra (30%), sul fronte degli alimentari si tende a ridurre le spese per confetture (29%), succhi di frutta (27%), cioccolato (26%), carne rossa (20%) e si rallenta persino sullo zucchero (14%), rileva la nota di Confcommercio Veneto. "Il problema - continua Bertin - è che la riduzione dei consumi "da percezione inflazionistica" è figlia soprattutto delle preoccupazioni: il 61% dei soggetti intervistati ha detto di ritenere inadeguati al costo della vita lo stipendio o la pensione e il 70% si dice scettico sulla possibilità che gli aiuti approvati dal governo possano essere efficaci nella lotta al caro vita".

Magari a tutti non è chiaro il meccanismo che li regola, ma di sicuro una bella fetta di consumatori (60%) ha inglobato l'idea che a dazi corrisponda aumento dei prezzi, spiega Confcommercio veneto. Che il fenomeno dipenda molto dalle situazioni specifiche di ognuno lo dice chiaro il sondaggio: sono più preoccupate le donne rispetto agli uomini e gli anziani rispetto ai giovani. Facciamo un esempio. Su abbigliamento e calzature l'inflazione reale è pari allo 0,8%, quella percepita schizza invece al 9,7%. ma se per gli uomini questa si ferma al 7,9%, per le donne sale all'11,3%. "È il frutto avvelenato dei capi low cost - spiega Riccardo Capitanio, presidente di Federmoda Confcommercio Veneto - che con le loro bassissime quotazioni fanno sembrare costoso tutto il resto nonostante per noi sia quasi impossibile aumentare i prezzi visto che le vendite non sono certo in espansione".

Servizi ricettivi (ovvero alberghi, bar e ristoranti): l'inflazione reale è al 3,8% ma la si percepisce al 12,3% (uomini al 10,9%, donne al 13,5%). Ma il caso più paradossale è quello della comunicazione (computer, smartphone, ecc.). Qui non solo siamo in presenza di inflazione ma siamo in deflazione: -4,7% nella realtà. Eppure i consumatori pensano sia al +5,9%.

I prossimi mesi - conclude il presidente regionale Bertin - saranno importanti. Molto dipenderà dall'andamento dei costi dell'energia (che per il 74% sono i responsabili primi delle difficoltà) e dalla ritrovata o meno fiducia. Al momento solo il 25% ritiene che non dovrà modificare il proprio stile di vita, un 29% non lo ha ancora fatto ma teme che sarà costretto a farlo e il 46% è sicuro che, se non cambia qualcosa, modificherà senz'altro le proprie abitudini di spesa. Su questo il governo deve sicuramente fare qualcosa”.

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