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IL MERITO CREDITIZIO “GUARDA” ALLA SOSTENIBILITÀ

Per valutare i rischi degli investimenti, gli istituti di credito sono sempre più attenti alle politiche ESG messe in campo dalle imprese

martedì 09 maggio 2023
IL MERITO CREDITIZIO “GUARDA” ALLA SOSTENIBILITÀ IL MERITO CREDITIZIO “GUARDA” ALLA SOSTENIBILITÀ

L’accesso al credito delle imprese sarà sempre più condizionato dalla "finanza sostenibile", ovvero dalla scelta degli istituti bancari di far confluire capitali soprattutto verso imprese che mettono in campo politiche virtuose in campo ambientale (Environmental), sociale (Social) e di governo societario (Governance), i cosiddetti fattori ESG. Ma cosa sono più in dettaglio i fattori ESG? I fattori di tipo ambientale includono questioni come quelle della mitigazione dei cambiamenti climatici e della transizione verso la neutralità climatica, cioè verso un'economia a emissioni zero, così come temi relativi alla salvaguardia della biodiversità, alla prevenzione dell'inquinamento e all'economia circolare. I fattori di tipo sociale si riferiscono a questioni relative alle disuguaglianze e all'inclusione, alle relazioni di lavoro, agli investimenti in formazione e al benessere della collettività, nonché al rispetto dei diritti umani. Infine, il governo societario delle istituzioni pubbliche e private ha un ruolo fondamentale nell'assicurare che considerazioni di tipo sociale e ambientale entrino nei loro processi decisionali, ad esempio attraverso le politiche di diversità nella composizione degli organi di amministrazione, la presenza di consiglieri indipendenti o altro ancora.

Come dicevamo, il mondo della finanza sta orientando molte delle proprie politiche nel valutare i fattori ESG delle imprese finanziate, ovvero è portato ad investire in realtà che compiono scelte sostenibili, coerenti con i principi del Global Compact delle Nazioni Unite, relativi a diritti umani, standard lavorativi, tutela dell'ambiente e lotta alla corruzione, gli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

Non si tratta di un indirizzo che nasce per caso, ovviamente. È l'Unione Europea che, attraverso un quadro normativo sempre più orientato alla sostenibilità, sta imponendo questa svolta verso la "finanza sostenibile". Questo è il motivo per cui è stato creato un sistema di classificazione comune per le attività economiche sostenibili, la "tassonomia dell'UE",  unito ad un quadro regolamentare che consente di individuare imprese, progetti e/o investimenti sostenibili.

Ma al di là dell’aspetto regolamentare, c’è anche un altro motivo che porta gli operatori del credito a valutare con attenzione la sostenibilità di un’impresa. Il cambiamento climatico e le relative politiche di mitigazione espongono infatti le imprese (ed eventualmente i loro titoli finanziari), a una serie di rischi. Innanzitutto ci sono i rischi fisici, ovvero quelli derivanti dall'intensificarsi di fenomeni naturali estremi attribuibili ai cambiamenti climatici. Questi fenomeni possono essere cronici, come il progressivo aumento delle temperature o delle precipitazioni, oppure acuti, come quando si verificano eventi che hanno bassa probabilità di manifestarsi ma che hanno un impatto significativo sui territori colpiti (è il caso delle alluvioni o dei fenomeni di siccità di lunga durata). Le imprese danneggiate da eventi climatici avversi mettono a rischio i capitali investiti: se sono grandi imprese questo è un fattore di potenziale deprezzamento delle azioni e delle obbligazioni da loro emesse con conseguenti perdite per gli intermediari e i risparmiatori che li detengono. Ma il rischio c’è anche se i capitali investiti sono stati utilizzati da piccole o medie imprese che non hanno una politica di sostenibilità.

Vi sono poi i rischi di transizione derivanti dal passaggio a sistemi di produzione e consumo dell'energia che consentono una riduzione delle emissioni di gas serra. Per esempio, le misure adottate dalle autorità pubbliche per garantire la transizione verso un'economia con basse emissioni di anidride carbonica, se non considerate nelle politiche aziendali, possono penalizzare l'attività di imprese che operano in settori economici più esposti, come l'industria energetica o quella automobilistica, con potenziali ripercussioni sugli intermediari che le finanziano e, di conseguenza, sugli investitori.

Secondo i dati della Banca d’Italia, attualmente il 65% dell’ammontare del credito alla aziende italiane è in capo ad aziende soggette ai rischi climatici, di cui il 28% a rischi “fisici” (ad esempio forti eventi metereologici causati dal cambiamento climatico) e il 51% da eventi “di transizione” (ad esempio perché operanti in settori che impattano nell’ambiente).

L’indicazione, dunque, sarà sempre più quella di monitorare i rischi dell’impresa prima di concedere un prestito. Ciò significa che integrare gli aspetti economici e di governance, sociali e ambientali (ESG), all’interno dell’impresa è già oggi importante (e lo sarà sempre di più) per migliorare il merito creditizio. Gli istituti di credito, infatti, saranno più orientati a prestare denaro a quelle attività che saranno allineate alla classificazione europea di ciò che è da considerarsi sostenibile. Insomma, sarà sempre più difficile finanzi progetti di un’azienda che non guarda alla sostenibilità e questo sia perché significa non tenere conto dei rischi derivanti dalla crisi ambientale, sia perché il cambiamento di sensibilità e di preferenze dei consumatori potrebbe colpirne la competitività.

Il rischio ambientale correlato al credito, però, ad oggi è ancora di difficile misurazione perché manca un’indicazione chiara e univoca, da parte delle istituzioni, su come tenere conto della sostenibilità nella valutazione creditizia complessiva di un’impresa. Questo non significa, però, che già oggi la sostenibilità non venga contemplata ai fini del merito creditizio: diciamo che ogni banca ha un proprio modo di agire.

Vero è che alcuni istituti bancari hanno già imboccato con decisione la via di una forte integrazione della sostenibilità nel proprio agire. Stiamo ad esempio parlando delle realtà che aderiscono alla Net-Zero Banking Alliance (NZBA), iniziativa promossa dalle Nazioni Unite che ha l’obiettivo di accelerare la transizione sostenibile del settore bancario internazionale. Ne fa parte più di un terzo dell'industria bancaria globale, con oltre 129 aderenti da 41 Paesi, che rappresentano il 40% degli asset globali (pari a 74 trilioni di dollari). Quest’alleanza prevede che le banche partecipanti si impegnino ad allineare i propri portafogli di prestiti e investimenti al raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, in linea con i target fissati dall’Accordo di Parigi sul clima. Una scelta che ovviamente si farà sentire anche nelle politiche di finanziamento.

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