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LA CERTIFICAZIONE DELLA PARITÀ DI GENERE

Introdotta nella “missione 5” del Pnrr, consentirà alle aziende di ottenere una serie di interessanti agevolazioni. In attesa del Dpcm attuativo, c'è già una norma Uni cui fare riferimento

martedì 14 giugno 2022
LA CERTIFICAZIONE DELLA PARITÀ DI GENERE LA CERTIFICAZIONE DELLA PARITÀ DI GENERE

Tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, ovvero gli SDG’s (ne abbiamo parlato qui), al punto 5 vi è anche quello di “Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”.  Secondo l’Onu, infatti, le disparità di genere costituiscono uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile, alla crescita economica e alla lotta contro la povertà. In questo senso, tra le azioni raccomandate nell’Agenda 2030 vi è quella di “Garantire al genere femminile piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità per la leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica” e di “adottare e rafforzare le politiche e la normativa applicabile per la promozione della parità di genere e l'empowerment di tutte le donne e le ragazze a tutti i livelli”.

Si inserisce in questo contesto, allora, l’art. 46-bis del decreto legislativo n. 198/2006, introdotto dalla legge n. 162/2021, che istituisce la nuova certificazione di parità di genere. Con tale norma, il legislatore ha voluto dare concretezza alla missione 5 del PNRR, introducendo uno strumento che consente di accedere ad un sistema di premialità ai datori di lavoro che pongono in essere iniziative volte a ridurre il divario di genere.

Le differenze di genere vengono valutate «in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità».

Per incentivare queste azioni, il legislatore ha introdotto, una volte ottenuta la certificazione, di consentire l’accesso alle seguenti misure agevolative:

  • sgravio contributivo a favore delle aziende che al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento siano in possesso della certificazione, applicato su base mensile che non può essere superiore all’1% dei contributi dovuti, né oltrepassare il limite massimo di € 50mila annui per azienda (art. 5, commi 1 e 2, Legge n. 162/2021);
  • punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti (art. 5, comma 3, Legge n. 162/2021);
  • la riduzione del 30% della garanzia fideiussoria per la partecipazione alle gare pubbliche (art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, modificato dall’art. 34, comma 1, DL 36/2022);
  • criterio premiale nella valutazione dell’offerta, che le amministrazioni aggiudicatrici dovranno indicare nel bando di gara, nell’avviso o nell’invito (art. 95, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016, modificato dall’art. 34, comma 2, DL 36/2022).

L’entrata a pieno regime della certificazione necessita dell’emanazione di un DPCM, che indichi i parametri minimi per il conseguimento della certificazione di parità da parte delle aziende.

Sebbene non sia stato ancora pubblicato il DPCM attuativo, il 16 marzo 2022 è stato però approvato il documento UNI/PdR 125/2022 che costituisce la prassi di riferimento contenente le linee guida per l’attuazione delle politiche di parità di genere nelle aziende e un riferimento per la certificazione del sistema di gestione per la parità di genere delle aziende ai sensi della stessa.

Tale prassi di riferimento non è una norma nazionale, ma un testo che riflette gli esiti del confronto svoltosi all’interno del “Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese” coordinato dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del consiglio dei Ministri, con la partecipazione di altre Amministrazioni, con cui sono stati definiti criteri, prescrizioni tecniche ed elementi funzionali alla certificazione di genere prevista anche dal PNRR.

Ciò significa che, in attesa del DPCM, le aziende potranno comunque già trovare molte informazioni su come avviarsi sulla strada della certificazione adottando questa linea guida, anche rivolgendosi agli enti certificatori.

Riportiamo di seguito alcuni elementi di rilievo contenuti all’interno del documento, come riportato in un comunicato stampa unitario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle pari opportunità e di UNI – Ente Italiano di Normazione.

Le "Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l'adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator - Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni" hanno l’obiettivo di avviare un percorso sistemico di cambiamento culturale nelle organizzazioni al fine di raggiungere una più equa parità di genere, superando la visione stereotipata dei ruoli, attivando i talenti femminili per stimolare la crescita economica e sociale del Paese agendo sui seguenti driver:

  • rispetto dei principi costituzionali di parità e uguaglianza;
  • adozione di politiche e misure per favorire l’occupazione femminile – specie quella delle giovani donne e quella qualificata – e le imprese femminili, anche con incentivi per l’accesso al credito e al mercato ed agevolazioni fiscali;
  • adozione di misure che favoriscano l’effettiva parità tra uomini e donne nel mondo del lavoro, tra cui: pari opportunità nell’accesso al lavoro, parità reddituale, pari accesso alle opportunità di carriera e di formazione, piena attuazione del congedo di paternità in linea con le migliori pratiche europee;
  • promozione di politiche di welfare a sostegno del “lavoro silenzioso” di chi si dedica alla cura della famiglia, nel rispetto dell’art. 3.1 della Costituzione (uguaglianza formale);
  • adozione di misure specifiche a favore delle pari opportunità, in linea con quanto stabilito dall’art. 3.2 della Costituzione (uguaglianza sostanziale);
  • integrazione del principio dell’equità di genere nella normativa nazionale affinché la sua adozione volontaria diventi riferimento qualora fosse richiesto alle organizzazioni pubbliche e private di ogni settore e dimensione di certificare la sostenibilità e l’adozione di politiche di genere, giustificata a ragione di specifiche esigenze e finalità produttive, in contesti quali, ad esempio, gare di appalto, rilascio di contributi pubblici oppure da un sistema di premialità allineato ai principi di libero mercato.

Affinché le azioni “di parità di genere” siano efficaci, la prassi di riferimento definisce una serie di indicatori (KPI) percorribili, pertinenti e confrontabili e in grado di guidare il cambiamento e di rappresentare il continuo miglioramento. Per garantire la misurazione del livello di maturità delle singole organizzazioni, sono individuate 6 aree di valutazione per le differenti variabili che contraddistinguono un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere:

  • cultura e strategia
  • governance
  • processi HR
  • opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda
  • equità remunerativa per genere
  • tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro

Ogni area è contraddistinta da un peso percentuale che contribuisce alla misurazione del livello attuale dell’organizzazione e rispetto al quale è misurato il miglioramento nel tempo. Per ciascuna area di valutazione sono stati identificati degli specifici KPI con i quali misurare il grado di maturità dell’organizzazione attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni 2 anni, per dare evidenza del miglioramento ottenuto grazie alla varietà degli interventi messi in atto o delle correzioni attivate.

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