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SOCIETÀ BENEFIT: PER UNIRE IL PROFITTO AL BENE COMUNE

Dal 2016 è possibile cambiare l’oggetto sociale delle imprese inserendo anche obiettivi ambientali e sociali, che vanno rendicontati annualmente

lunedì 11 aprile 2022
SOCIETÀ BENEFIT: PER UNIRE IL PROFITTO AL BENE COMUNE SOCIETÀ BENEFIT: PER UNIRE IL PROFITTO AL BENE COMUNE

Se ne sente parlare sempre di più, ma a volte si rischia un po’ di confusione. Le Società Benefit, infatti, cominciano ad essere un numero considerevole in Italia, si stima circa 1.400, ma più di qualcuno le confonde con realtà no profit. Non è assolutamente così: alle Società Benefit i profitti interessano, come a tutte le imprese che stanno sul mercato, ma guardano anche molto più in là.

Allora andiamo con ordine e cerchiamo di capirci di più: cosa sono queste Società Benefit che a volte appaiono nella denominazione di un’azienda con la sigla SB vicino alla Ragione Sociale?

Partiamo da un concetto di fondo: secondo il nostro Codice civile, art. 2247, con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.

Dunque fino al momento in cui, nel 2016, lo Stato Italiano non aveva normato le Società Benefit, l’unico obiettivo “ufficiale” che un’impresa profit poteva porsi era quello di fare profitto e dividere gli utili tra gli azionisti.

Da un punto di vista giuridico sembrava non ci fosse posto per altri obiettivi che molte imprese invece si pongono, ovvero di avere anche un impatto positivo sulle persone, sulla società e sull’ambiente. Ecco allora che con la definizione delle Società Benefit si fa un importante passo avanti in questa direzione, perché queste realtà vengono individuate come quelle società che nell'esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.

E non si tratta solo di dichiarare queste finalità, altrimenti si rischierebbe di cadere nelle buone intenzioni o, in alcuni casi, nei tentativi più o meno palesi di greenwashing (ovvero una politica “verde” solo apparente per ottenere vantaggi in termini di marketing). Nel caso delle Società Benefit lo scopo per il bene comune va sottoscritto nero su bianco davanti ad un notaio. Una società, infatti, può nascere come benefit al momento della costituzione, oppure, se già costituita come società ordinaria, può diventare benefit attraverso la modifica del contratto sociale.

Pertanto, chi voglia avviare una nuova attività di impresa, una volta scelto il tipo di società che risponde meglio alle proprie esigenze (sotto il profilo organizzativo, della responsabilità patrimoniale e degli scopi), se ha deciso per la Società Benefit all'atto della costituzione dovrà specificare, nell'ambito dell'oggetto, le finalità di beneficio comune che intende perseguire, disciplinando i conseguenti obblighi degli amministratori o soggetti delegati alla rendicontazione annuale inerente il beneficio comune. Sì, perché ogni anno le Società Benefit devono stilare un rapporto in cui, con trasparenza, specificano quanto hanno fatto per raggiungere gli obiettivi che si sono date anche su questo fronte (non solo sul fronte finanziario). Ma una società già costituita può trasformarsi in benefit? Certamente. Basta modificare l'atto costitutivo o la statuto per inserire, al fianco dello scopo lucrativo (o mutualistico) lo scopo o gli scopi di beneficio prescelti.

Dunque la Società Benefit è un’impresa sociale? No, non lo è perché quest’ultima (disciplinata dal  D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 155) ha l’obbligo di destinare gli utili e gli avanzi di gestione agli scopi statutari o all’incremento del patrimonio ed è vietata la distribuzione degli utili; mentre per la Società Benefit lo scopo legato al profitto è previsto insieme allo scopo di beneficio comune.

Ciò che le Società Benefit hanno in più, rispetto ad una società “classica” è proprio la definizione del beneficio comune che si propongono e che deve riguardare uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, su una o più categorie ricomprese fra persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Categoria, quest’ultima, che ricomprende lavoratori, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile.

Il fatto di formalizzare il proprio obiettivo consente quindi di proteggere la missione “sociale” in caso di aumenti di capitale e cambi di leadership, mantenendo ad esempio la missione anche in caso di passaggi generazionali.

Chiaramente non si tratta solo di aggiungere, nella propria ragione sociale, la sigla SB. C’è molto di più: bisogna mettere in campo azioni che rispondano al proprio obiettivo. Perchè poi, come si diceva, queste azioni vanno rendicontate. Per farlo si deve compilare obbligatoriamente ed ogni anno una relazione annuale sul perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio societario.

Questo report deve includere la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuate dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato e una valutazione dell'impatto generato utilizzando uno standard di valutazione esterno che comprenda le seguenti aree di valutazione: la governance dell’impresa, i lavoratori, gli altri portatori di interesse (ad esempio i propri fornitori, il territorio e le comunità locali in cui opera l’azienda, le azioni di volontariato, le donazioni, le attività culturali e sociali, e ogni azione di supporto allo sviluppo locale e della propria catena di fornitura) e infine, ma non da ultimo, l’ambiente, ovvero il  ciclo di vita dei prodotti e dei servizi, l’utilizzo di risorse, energia, materie prime, processi produttivi, processi logistici e di distribuzione.

Un’ultima annotazione va ad un altro errore in cui a volte si cade: confondere le Società Benefit con le B Corp. Queste ultime, infatti, sono realtà che possono definirsi tali in base ad una certificazione che può essere attribuita anche a società che non sono giuridicamente delle Benefit. La certificazione si ottiene attraverso un percorso definito dalla rete internazionale B Lab, a seguito di uno specifico cammino di Impact Assessment. Per ottenere la certificazione bisogna dimostrare di possedere determinati requisiti a livello di performance sociale e ambientale, governance e trasparenza.

Per maggiori informazioni sulle Società Benefit: www.assobenefit.org

Per maggiori informazioni sulle B Corp: www.bcorporation.net

ATTENZIONE: La notizia è riferita alla data di pubblicazione dell'articolo indicata in alto, sotto il titolo. Le informazioni contenute possono pertanto, nel corso del tempo, subire delle variazioni non riportate in questa pagina, ma in comunicazioni successive o non essere più attuali.

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