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GLI ITALIANI VOGLIONO VIVERE DOVE CI SONO PIÙ NEGOZI DI PROSSIMITÀ

Indagine Confcommercio - SWG, presentata in occasione dell'iniziativa "inCittà" a Bologna. Sangalli: "L'Agenda urbana nazionale è una priorità"

giovedì 20 novembre 2025
GLI ITALIANI VOGLIONO VIVERE DOVE CI SONO PIÙ NEGOZI DI VICINATO GLI ITALIANI VOGLIONO VIVERE DOVE CI SONO PIÙ NEGOZI DI VICINATO

Gli italiani vogliono vivere in quartieri con più negozi di prossimità, luoghi non solo di acquisto e offerta di servizi, ma che costituiscono, insieme agli spazi verdi, il principale elemento che contribuisce alla qualità della vita urbana; ma rappresentano anche veri e propri attivatori di socialità (per il 64% degli italiani), garanzia di cura e pulizia degli spazi pubblici (62%), presidi di sicurezza (60%). Il desiderio di avere più negozi sotto casa, per 2 italiani su 3, deriva dall’esigenza di avere più opportunità di scelta e ridurre gli spostamenti. Ma la presenza di attività commerciali incide anche sul mercato immobiliare: il valore di un’abitazione situata in un quartiere colpito dalla desertificazione commerciale scende del 16% con un differenziale complessivo che può arrivare al 39% rispetto a un immobile situato in un quartiere ricco di negozi. In ogni caso, negli ultimi 10 anni, gli italiani hanno percepito sempre più chiaramente le chiusure di attività economiche di quartiere.

Questi i principali risultati dell’indagine sulla desertificazione commerciale nelle città, realizzata da Confcommercio in collaborazione con SWG, presentata in occasione dell’iniziativa nazionale della Confederazione “inCittà – Spazi che cambiano, economie urbane che crescono” tenutasi a Bologna.

Il commercio di prossimità: presidio sociale ed economico delle città

Secondo gli italiani, i negozi di prossimità rappresentano il principale elemento che contribuisce alla qualità della vita urbana: al primo posto bar e ristoranti (78%), seguiti dagli spazi verdi (66%) e dai negozi (65%); trasporti, sicurezza e pulizia degli spazi pubblici sono, invece, gli elementi più critici.

Le attività di quartiere sono riconosciute come presidi di comunità: per il 64% favoriscono la socialità, per il 62% migliorano la cura e la pulizia degli spazi pubblici, per il 60% aumentano la sicurezza e per il 57% tutelano le persone più fragili. 

Anche i dehors — pur con qualche criticità legata alla mobilità — sono apprezzati dagli italiani perché favoriscono la convivialità (84%) e rendono più belli gli spazi urbani (69%). In ogni caso, la presenza di negozi incide anche sul valore immobiliare delle aree urbane: un appartamento in una zona ricca di negozi vale mediamente il 23% in più rispetto a un immobile situato in un’area mediamente servita. Al contrario, come si diceva, nei quartieri colpiti dalla desertificazione commerciale il valore degli immobili scende del 16% con un differenziale complessivo che arriva al 39%.

Il desiderio di prossimità: 2 italiani su 3 vogliono più negozi sotto casa

Nonostante la crescita dell’e-commerce, il 67% degli italiani dichiara di volere più negozi di vicinato nel proprio quartiere per minimizzare gli spostamenti e il 68% vorrebbe un mix di negozi piccoli e medi per avere maggiori possibilità di scelta. Percentuali che raggiungono punte del 75% al Sud e nelle città medio-piccole. Il commercio locale, quindi, non è percepito come residuo del passato, ma come infrastruttura sociale che ancora oggi garantisce accessibilità, identità e vitalità urbana. E, a proposito di accessibilità, i trasporti pubblici emergono come l’elemento valutato più criticamente dagli italiani, poiché incidono sulla possibilità di fruire appieno degli spazi urbani e, in particolare, dei centri storici. Nei comuni con oltre 50.000 abitanti, il 58% degli intervistati afferma che migliorare i trasporti pubblici favorirebbe una maggiore frequentazione dei negozi e dei pubblici esercizi del centro. Seguono, le richieste di più parcheggi (43%) e di un ampliamento delle aree pedonali anche sacrificando gli spazi di sosta (42%), segno di una domanda pubblica articolata e di un equilibrio non semplice tra esigenze di accessibilità e desiderio di vivibilità.

La desertificazione commerciale e il suo impatto sulla vivibilità

La chiusura dei negozi continua a essere uno dei fenomeni più temuti e percepiti: l’80% degli italiani prova un senso di tristezza nel vedere saracinesche abbassate, il 73% collega la chiusura dei negozi al calo della qualità della vita. Rispetto a dieci anni fa le attività scomparse che gli italiani hanno notato maggiormente sono i negozi di libri, giornali, articoli sportivi e giocattoli (55%), le attività non alimentari – come abbigliamento, profumerie, fiorai, gioiellerie, ottici - (49%), ferramenta e negozi di arrredamento e tessuti (46%), alimentari (45%), ambulanti (39%). Il fenomeno è più avvertito nel Nord-Est e nel Centro e nelle grandi città. Solo due categorie appaiono in controtendenza: farmacie e pubblici esercizi sono le uniche attività percepite in leggera crescita.

E a proposito di desertificazione commerciale, qualche giorno prima dell’incontro di Bologna Confcommercio nazionale aveva lanciato un forte allarme sul tema rilevando come negli ultimi dodici anni l’Italia abbia registrato una riduzione di oltre 140mila attività di commercio al dettaglio, tra negozi e attività ambulanti.

I luoghi di acquisto abituale

Le piccole attività sono le preferite per molte categorie, i supermercati dominano per gli alimentari a lunga conservazione, i mercati mantengono quota importante per il fresco e l’abbigliamento. Analizzando gli acquisti fisici (non online), i piccoli esercizi (negozi di quartiere, centro storico, ecc.) stravincono per bar/pub (88%), farmacie (87%), tabacchi e quotidiani (85%). Supermercati e grandi superfici (centri commerciali, ipermercati, outlet) sono preferiti, però, per l’acquisto di i prodotti alimentari a lunga conservazione (64%), articoli sportivi (58%), elettronica e telefonia (56%). Quote interessanti per i prodotti acquistati nelle attività di commercio ambulante, in particolare gli alimentari freschi (11%) e l’abbigliamento e calzature (10%).

L’impatto del turismo sul tessuto commerciale e gli affitti brevi sono percepiti come problematici dai residenti. Specialmente nelle città dove la pressione turistica è medio-alta, gli intervistati lamentano un aumento sbilanciato di attività dedicate al cibo (49%) e una crescita dei negozi per turisti con prodotti di bassa qualità (23%). Questo fenomeno, avvertito con più forza nelle grandi città, porta alla sostituzione dei negozi tradizionali con quelli dedicati ai turisti (17%), contribuendo a una perdita di servizi e di autenticità dell’offerta.

Gli affitti brevi sono visti come una causa rilevante della crisi abitativa nei centri urbani. Il 50% degli intervistati li associa direttamente all’aumento dei prezzi degli affitti per i residenti, mentre il 42% lamenta una conseguente diminuzione della disponibilità di alloggi (percentuali che salgono nelle grandi città). A fronte di un 24% che ne riconosce un beneficio nel “recupero di alloggi inutilizzati”, prevale nettamente una percezione negativa (46%).

Sangalli: "L'Agenda urbana nazionale è una priorità"

Aprendo il suo intervento all’evento “InCittà” di Bologna, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha evidenziato che “le attività di prossimità sono parte essenziale dell’identità urbana: generano lavoro, relazioni, sicurezza e qualità della vita. Le nostre imprese sono presidi fondamentali contro degrado, abusivismo e criminalità economica, e operano in collaborazione con le istituzioni e le forze dell’ordine. Da qui l’urgenza di una agenda urbana nazionale", e Sangalli ha osservato che “commercio, turismo e servizi devono essere riconosciuti come beni comuni, perché sono il cuore della vita delle città. Occorre affrontare le trasformazioni in corso: dalla desertificazione imprenditoriale – con la chiusura di oltre 140.000 negozi in 12 anni – all’overtourism e agli squilibri generati dagli affitti brevi senza regole, fino alle tensioni tra prossimità ed e-commerce e ai cambiamenti nell’uso della città causati dallo smart working e dalla mala movida. Confcommercio propone una risposta basata su regole chiare ed eque, essenziali per garantire concorrenza e crescita. Il pluralismo distributivo resta la forza del modello italiano, un ecosistema che tiene insieme manifattura, servizi, turismo e cultura, e che fa delle nostre città uno dei principali motivi di attrazione internazionale".

Per questo Sangalli ha rimarcato che “ocorrono politiche attive coerenti: formazione, incentivi responsabili, fiscalità adeguata, innovazione che non perda di vista i valori comunitari". Sangalli ha avvertito che “solo un raccordo efficace con l’Europa e una strategia nazionale stabile possono dare alle città una prospettiva di sviluppo autentica”. Il patto che proponiamo è tra istituzioni, imprese e cittadini: un’alleanza pubblico-privata per città più vivibili, sicure, attrattive. A livello nazionale serve coordinamento e integrazione delle risorse; a livello regionale occorre valorizzare i Distretti Urbani dello Sviluppo Economico; a livello comunale vanno sviluppati Programmi Pluriennali per l’Economia di Prossimità".

Su questo punto Sangalli ha precisato che “la rigenerazione urbana è possibile solo se tutti gli attori si assumono una responsabilità condivisa”. Al centro di tutto c’è la persona: imprenditori, lavoratori, famiglie. I nostri contratti collettivi tutelano imprese e reddito dei lavoratori, e il welfare integrativo contribuisce a migliorare la qualità della vita urbana. Confcommercio mette a disposizione una rete capillare capace di rappresentare interessi diversi e di ricucire legami economici e sociali. Sangalli ha ribadito che “le città sono comunità e le comunità vivono grazie al lavoro e all’impresa”.

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