TRANSIZIONE ENERGETICA TRA ACCELERAZIONI E NUOVI RALLENTAMENTI
Presentato a Roma, nella sede di Confcommercio, il Rapporto annuale CER sulla transizione energetica (link al documento in pdf) che offre un’istantanea nitida dello stato del percorso verso la decarbonizzazione. Il documento colloca l’Italia dentro un contesto globale sempre più strutturato intorno a un equilibrio tripolare, dominato da Stati Uniti, Unione europea e Cina: tre poli che avanzano con velocità diverse, spesso dettate più da oscillazioni politiche o pressioni geoeconomiche che da una strategia climatica coerente.
Il Rapporto non si limita a descrivere tendenze, ma mette a fuoco le contraddizioni di un sistema internazionale che oscilla tra slanci ambiziosi, ripiegamenti improvvisi e tensioni industriali crescenti. In questo scenario, la posizione dell’Italia appare duplice: da un lato, un’accelerazione significativa registrata negli ultimi anni; dall’altro, segnali di rallentamento che sollevano interrogativi sul ritmo – e sulla stabilità – della trasformazione energetica nazionale. Più che una fotografia, il Rapporto è una lettura critica di un passaggio storico complesso: un momento in cui le scelte di politica energetica non sono semplici aggiornamenti di settore, ma tasselli di una competizione globale che ridefinisce economie, alleanze e vulnerabilità climatiche.
Lo scenario internazionale
Il Rapporto tratteggia un panorama globale segnato da scelte politiche che oscillano tra ambizione climatica e ritorni al passato. Negli Stati Uniti, il cambio di amministrazione nel 2025 ha praticamente messo fine all’impulso verde dell’Inflation Reduction Act. La nuova linea di governo si concentra sulla tutela delle quote di mercato dei combustibili fossili, con una revisione degli incentivi e l’introduzione di dazi sulle tecnologie pulite. Gli autori del Rapporto parlano apertamente di “whiplash climatico”: una svolta brusca che rischia di rallentare gli investimenti proprio quando la transizione richiederebbe continuità, certezza e un impegno a lungo termine.
L’Unione europea, pur continuando a dichiararsi fedele agli obiettivi del Green Deal, si ritrova schiacciata tra costi energetici più elevati e una crescente vulnerabilità industriale. Le filiere cleantech, e il fotovoltaico in particolare, scontano un divario strutturale: produrre moduli in Europa costa dal 35% al 65% in più rispetto alla Cina. Una forbice che mette a rischio autonomia strategica, investimenti e occupazione.
La Cina, nel frattempo, continua ad accumulare record nelle rinnovabili – oltre 260 GW installati nel 2024 – ma il carbone resta un pilastro del suo sistema energetico. Nei primi sei mesi del 2025 sono stati approvati altri 25 GW di centrali, mentre le emissioni toccano nuovi massimi storici, sospinte dalla velocità della crescita economica. L’innovazione tecnologica avanza, ma non ancora abbastanza da invertire la curva delle emissioni. Il picco è vicino, ma il percorso verso una riduzione stabile appare ancora incerto.
La situazione in Italia
In questo contesto, l’Italia si distingue per un andamento a due tempi, quasi schizofrenico. Il biennio 2023-2024 ha mostrato segnali inaspettatamente robusti: emissioni in calo di oltre il 5%, efficienza energetica in aumento e 13,4 GW di nuove rinnovabili installate, portando il totale nazionale oltre i 74,5 GW. La drastica riduzione della dipendenza dal gas russo – dal 40% del 2021 al 9,5% nel 2024 – segna uno dei cambiamenti più rilevanti, trainato dall’aumento dei flussi dall’Azerbaigian, dal boom del GNL (+49,8%) e dall’avvio del rigassificatore di Piombino.
Ma il 2025 riporta con forza la fragilità strutturale del sistema. Le emissioni tornano a salire, seppur lievemente, a 371,7 MtCO₂eq (+0,2%). La quota di rinnovabili nei consumi energetici scivola al 21,7%, trascinata verso il basso dal crollo dell’idroelettrico (-21,5%). Cresce invece l’uso del gas naturale (+2,1%). La domanda energetica cala, ma nei settori ETS le emissioni della generazione elettrica risalgono a 62,2 MtCO₂eq (+3,9%). Nei settori ESR, i progressi continuano ma restano insufficienti: i trasporti calano solo dell’1,3%, mentre il settore civile torna a crescere (+2,2%) per via del maggior consumo di gas per il riscaldamento.
Il decreto sulle Aree Idonee conferma un Paese profondamente disomogeneo. Il Lazio è già oltre metà del percorso verso il target 2030, mentre regioni come Valle d’Aosta e Molise restano pericolosamente indietro, sotto il 15%. Una disparità che rischia di trasformare la transizione in un mosaico incoerente di opportunità e ritardi.
Secondo le previsioni del modello CER, la decarbonizzazione dovrebbe riprendersi nel 2026 (-0,5%) e rafforzarsi nel 2027, quando le emissioni potrebbero scendere a 363,9 MtCO₂eq (-1,6%). La crescita della produzione rinnovabile elettrica – fino a 149 TWh, con un fotovoltaico che arriverebbe a 63,5 TWh – sarebbe il principale motore di questa inversione.
Il Rapporto mette in luce un ultimo elemento determinante: l’accesso ai finanziamenti premia sempre più le imprese che presentano piani credibili di riduzione dei consumi, efficientamento o riconversione energetica. Per molte PMI, la transizione non è più un vezzo “green”, ma una condizione d’ingresso nel mercato del credito e, di fatto, un requisito per restare competitive in un’economia globale che si muove – con tutte le sue contraddizioni – verso una nuova normalità climatica.
Acampora: “La transizione energetica è necessaria ma deve essere equa e sostenibile”
Giovanni Acampora, componente di Giunta Confcommercio con incarico alla Transizione ecologica e sostenibilità, intervenendo alla presentazione del Rapporto, ha sottolineato che "essere insieme al CER oggi significa affrontare una delle questioni più delicate e decisive per il futuro del nostro sistema produttivo: l’energia. Non solo un tema tecnico, ma anche un tema politico, sociale ed economico che riguarda la vita quotidiana di migliaia di imprese italiane. Il rapporto appena illustrato ci ricorda una verità semplice: il mondo corre a velocità diverse. C’è chi punta tutto sulla decarbonizzazione, chi mette al primo posto la sicurezza energetica, chi difende le proprie industrie con dazi e barriere. In mezzo, le nostre imprese devono fare i conti con un quadro globale complicato, pieno di incertezze e scossoni geopolitici. L’Europa ha scelto obiettivi ambiziosi – e noi li condividiamo".
"Ma non possiamo ignorare - ha aggiunto Acampora - che altri grandi attori giocano con regole molto diverse. E quando gli Stati Uniti introducono dazi, quando le tensioni internazionali aumentano, quando i mercati dell’energia diventano instabili, l’effetto lo pagano le imprese: le nostre imprese. Oggi le aziende italiane lavorano in un contesto che cambia rapidamente, dove i costi dell’energia possono decidere la vita o la morte di un’attività. La transizione energetica è necessaria, ma deve essere equa. E soprattutto deve essere sostenibile economicamente. Nel 2025 il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica in Italia è stato di circa 116 euro a megawattora. In Germania poco più di 90. In Francia e in Spagna intorno ai 60. Questo divario ha un impatto concreto: nel 2025 le imprese del terziario hanno speso oltre 11 miliardi di euro per elettricità e gas. L’8% in più dell’anno precedente. Il 35% in più rispetto al periodo pre-Covid. Questi non sono dati astratti. Sono bar negozi, ristoranti. Sono alberghi, trasporti, servizi. Sono famiglie che lavorano. Sono imprenditori che, ogni mese, devono scegliere se investire, assumere… o pagare la bolletta".
"E allora - ha sottolineato - la politica deve porsi una domanda: come accompagniamo la transizione senza lasciare indietro nessuno? La risposta è chiara: con scelte concrete, non con slogan. Bisogna accelerare sulle rinnovabili, ma con regole semplici, chiare, applicabili. Bisogna rafforzare l’efficienza energetica, ma dando alle imprese strumenti veri, non ostacoli burocratici. Bisogna puntare sull’autoproduzione, aiutando chi vuole installare impianti rinnovabili e sistemi di accumulo, soprattutto nelle piccole e medie aziende. Gli incentivi funzionano quando arrivano a destinazione. Il Conto Termico, ad esempio, è uno degli strumenti più efficaci: nel solo 2024, come evidenziato nel Rapporto, ha attivato interventi su oltre 80.000 edifici, con più di 540 milioni di euro erogati. Questo significa che gli strumenti ci sono. Ma vanno potenziati. E vanno resi accessibili a tutte le imprese e in tutti i territori". "C’è poi un tema che non possiamo ignorare: gli oneri generali di sistema. Per le aziende del terziario, che non godono degli stessi benefici tariffari degli energivori, pesano più del 20% sulla bolletta. È una zavorra che non possiamo permetterci. Serve una riforma profonda, che accolga soluzioni come l’idrogeno rinnovabile e il nucleare di ultima generazione, fonti affidabili e a basse emissioni, fondamentali per la stabilità delle reti e l’abbattimento dei costi. Perché se vogliamo una transizione giusta, non possiamo avere imprese di serie A e imprese di serie B".
"La verità - ha concluso Acampora - è che la transizione energetica sarà un successo solo se sarà anche una transizione competitiva. Se abbasserà le bollette. Se darà certezza agli investimenti. Se permetterà al tessuto produttivo italiano, fatto soprattutto di piccole e medie imprese di continuare a crescere. L’Italia ha una grande opportunità: lavorare insieme, istituzioni, imprese, associazioni, operatori energetici, per costruire un percorso che tenga insieme ambiente, sviluppo e sostenibilità economica. Confcommercio è pronta a fare la sua parte. A portare proposte, competenze, soluzioni. Per concludere, lo voglio dire con chiarezza: la sfida energetica non è un capitolo del futuro: è una pagina che stiamo scrivendo oggi. E il nostro obiettivo è chiaro: garantire al Paese energia più accessibile, più sicura, più competitiva. Perché solo così potremo dare alle nostre imprese – e all’Italia – la forza di crescere, innovare e guidare la transizione, invece di subirla".
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