Nel 2025 lo spreco alimentare in Italia è sceso di 95 grammi settimanali, da 650 grammi a 555,8. Il nostro Paese, insomma, migliora anche se non abbastanza restando al di sopra della media europea. È quanto emerge dai dati del nuovo rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International, presentati il 25 settembre scorso a Roma nell’ambito di un evento promosso dalla campagna pubblica “Spreco Zero”, in vista della sesta Giornata mondiale di consapevolezza delle perdite e sprechi alimentari del 29 settembre.
Secondo il rapporto "aumenta la consapevolezza del legame fra spreco e ambiente, ma è lontano il traguardo, fissato per il 2030, di 369,7 grammi settimanali”. Si spreca meno al centro (490,6 grammi) e al nord (515,2 grammi) rispetto al sud (628,6 grammi). Sprecano meno le famiglie con figli (-17%) e i grandi Comuni (-9%), mentre la classifica dei cibi sprecati è guidata dalla frutta fresca (22,9 grammi), seguita da verdura fresca (21,5 grammi), pane (19,5), insalata (18,4) e cipolle/tuberi (16,9).
Waste Watcher evidenzia poi il legame fra le guerre, i dazi e la crisi climatica: più di un italiano su tre (il 37%) sceglie prodotti made in Italy, due italiani su tre hanno aumentato o tenuto alta l'attenzione all'ambiente e la metà dei connazionali presta più attenzione all'impatto ambientale dei prodotti alimentari che acquista nel tempo della crisi climatica. Sono i "nativi digitali" il motore del cambiamento: riutilizzano gli avanzi (+10% rispetto alla media), condividono il cibo (+5%), acquistano frutta e verdura di stagione (+2%), prestano più attenzione all'impatto ambientale (+2%).
A livello internazionale l’indagine registra che nel mondo vengono sprecate 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, ovvero un terzo della produzione alimentare globale. Lo spreco di cibo è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra ed è pari a cinque volte quelle generate dall'aviazione. Il 28% dei terreni agricoli, 1,4 miliardi di ettari, viene utilizzato per produrre cibo che non verrà mai mangiato.
Stoppani: “continua l’impegno di Confcommercio per far crescere sensibilità e attenzione delle imprese”
“I dati italiani confortano rispetto al confronto europeo, anche se occorre fare di più e meglio. Descrivono una popolazione attenta alla gestione domestica del cibo, ma ancora non del tutto consapevole dell’impatto che hanno le proprie abitudini di vita, in particolare negli acquisti e nel consumo dentro e fuori casa. Ma in un contesto che per certi versi è ancora soggetto a interpretazioni, gli obiettivi definiti dall’Europa potranno essere raggiunti solo se, oltre all’impegno e alla responsabilità di tutti gli attori della filiera alimentare, verrà prioritariamente definita la metodologia di calcolo per misurare i progressi di riduzione dei rifiuti alimentari. Ad oggi, purtroppo, su questo non c’è chiarezza. Ritengo che questo sia un punto dirimente per impostare qualsiasi azione seria di contrasto dello spreco alimentare. Confcommercio continuerà a sostenere le attività dell’Osservatorio e ad impegnarsi per far crescere sensibilità e attenzione nel sistema delle imprese che rappresenta”: questo il commento di Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe e vicepresidente vicario di Confcommercio.
Gli altri numeri della ricerca
Cross country report: Italia sopra la media europea, ma l’Europa abbassa l’asticella dei suoi obiettivi ed elimina il concetto di “perdite alimentari”
Nel mondo vengono sprecate ogni anno 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, 1/3 della produzione alimentare globale. Di questo 33%, il 19% del cibo viene sprecato a livello di vendita al dettaglio, ristorazione e famiglie, mentre il 13–14% nella fase di produzione e raccolta.
Mentre il cibo viene sprecato, la fame persiste: 673 milioni di persone soffrono la fame, pari all’8,2% della popolazione mondiale, di cui il 20,2% in Africa e il 6,7% in Asia. In aggiunta: 2,3 miliardi di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare, senza accesso garantito a un’alimentazione sufficiente e nutriente.
Lo spreco e le perdite alimentari non sono solo un problema etico e sociale: hanno un impatto devastante sull’ambiente: lo spreco di cibo è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra, ovvero 5 volte quelle generate dall’aviazione.
Il 28% dei terreni agricoli, pari a 1,4 miliardi di ettari, viene utilizzato per produrre cibo che non verrà mai mangiato. È una superficie pari a 4 volte l’intera Unione Europea. E un quarto dell’acqua dolce utilizzata in agricoltura viene sprecato nella produzione di alimenti che finiranno nella spazzatura: si tratta di circa 250 km³ di acqua, l’equivalente del fabbisogno idrico annuo dell’intera popolazione mondiale.
In questo scenario globale, l’Europa, con Direttiva approvata dal Parlamento Europeo il 9 settembre 2025, ha abbassato l’asticella dei suoi obiettivi di riduzione: mentre l’Obiettivo 12.3 dell’Agenda ONU 2030 chiede di dimezzare (−50%) le perdite e gli sprechi alimentari entro il 2030, in tutti i segmenti della filiera, l’Europa adesso, con una drastica revisione della Direttiva 2008/98/EC -Waste Framework Directive, si “accontenta” di fissare −10% nello spreco della trasformazione/manifattura e −30% pro capite nei consumi finali (retail, ristorazione, famiglie), sostanzialmente “tagliando” il concetto di perdite alimentari in campo.
Guerre e cambiamento climatico: spreco – ambiente in primo piano
Nel 2025 delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, della crisi di Gaza e dell’emergenza climatica ma anche della sfida sui dazi, Waste Watcher ha deciso di aprire un focus speciale per capire se e come questi fattori influiscono sulle nostre abitudini di approvvigionamento, fruizione e gestione del cibo.
Il risultato è, con tutta evidenza, l’impatto tangibile di queste sulle scelte di fruizione alimentare degli italiani: più di 1 cittadino su 3 (il 37%) ritiene utile puntare sui prodotti made in Italy nell’attuale contesto di guerre e tensioni internazionali, ma anche di crisi dei dazi. È la risposta a un contesto percepito come instabile, e questa tendenza risulta particolarmente marcata tra i soggetti di età compresa tra i 35 e i 44 anni e tra gli over 64, con una concentrazione geografica significativa nel Centro Italia.
E ancora: 1 su 10 privilegia semplicemente i prodotti più economici, a prescindere dalla loro sostenibilità, mentre il 5% ha direttamente ridotto la spesa alimentare per ragioni economiche, percentuale che raddoppia negli under 25. Un italiano su 5, ovvero il 22%, afferma di preferire prodotti locali e a chilometro zero, confermando una crescente attenzione alla prossimità e al legame con il territorio, soprattutto nel Mezzogiorno.
Il dato interessante è che una parte consistente della popolazione (20%) non ha modificato le proprie abitudini d’acquisto, dichiarando che le scelte alimentari restano indipendenti dal contesto internazionale. Questo segmento è più rappresentato nel Nord Est e nelle aree rurali, e potrebbe indicare una maggiore stabilità delle preferenze o una minore esposizione percepita alle dinamiche globali.
Due italiani su 3 (66%) hanno aumentato o conservato molto alta l’attenzione all’ambiente e ai comportamenti sostenibili. E 1 italiano su 2 dichiara di prestare maggiore attenzione all’impatto ambientale dei prodotti alimentari che acquista nel tempo della crisi climatica: il 17% degli italiani, però, dichiara di non aver modificato i suoi comportamenti perché “non ritengo che ci sia alcun legame tra la crisi climatica e temperature anomale”.
Le temperature elevate dell’estate 2025 hanno avuto un impatto diretto e concreto sui comportamenti alimentari degli italiani: per fronteggiare la crisi climatica in rapporto allo spreco del cibo, 1 italiano su 2 (45%) cerca di consumare prima gli alimenti più deperibili e 1 su 5 (21%) prova ad aumentare la frequenza di acquisto degli alimenti deperibili oppure di privilegiare l’acquisto di prodotti non deperibili o a lunga conservazione (19%). Solo il 14% dichiara di non aver modificato i propri comportamenti e appena il 6% afferma di non aver percepito alcun impatto delle temperature anomale sulla deperibilità degli alimenti.
Generazione Z, il motore della sostenibilità: ambiente, relazioni, creatività digitale
La generazione Z ha le maggiori potenzialità per muovere il cambiamento. Nell'indagine condotta dall'Osservatorio WWI il focus dedicato agli Z - ovvero circa 9 milioni in Italia (2025) - la prima la prima generazione “digitale nativa”, si sente distintamente il rumore di motore acceso che porta al cambiamento.
La GenZ è attenta, anzi molto attenta, alle questioni legate allo spreco alimentare e alla sostenibilità dei consumi. Sono chiari - e in prospettiva molto promettenti - gli elementi positivi rispetto alla platea generale di consumatori: la Generazione Z mostra infatti una forte propensione a riutilizzare gli avanzi in tempi rapidi, affidandosi a ricette trovate online (+10% rispetto al campione nazionale), porta a casa gli avanzi (+6%) o condivide il cibo con parenti e vicini (+5%), porziona e surgela gli alimenti più deperibili (+2%) aumentando la frequenza di acquisto (+1%), presta più attenzione all'impatto ambientale dei prodotti alimentari acquistati (+2%), è molto più sensibile (+8%) rispetto alle tensioni internazionali, è molto più attenta (+11%) all'economia dei prodotti indipendentemente dalla loro provenienza, compra sempre frutta e verdura di stagione (+2%).
Insomma, i Zeta sono dei veri campioni antispreco. Ma sta soprattutto nella creatività digitale il valore aggiunto per ridurre lo spreco, dare valore e nuova vita al cibo, attivare relazioni. Questi elementi, distintivi dei Z, possono avere una duplice importante ricaduta nella società, aiutando da un lato le generazioni più “vecchie” e meno digitali, ma anche dall’altro risultando di esempio per le generazioni future in un mondo dove la digitalizzazione è un fattore sempre più importante, visto che la fascia più “alta” della genz ha già famiglia e figli.
Perché sprechiamo il cibo e come cerchiamo di prevenire
Il Rapporto Waste Watcher 2015 attestava uno spreco settimanale di ca 650 grammi in Italia: dieci anni dopo il miglioramento si percepisce nella flessione generale di quasi 100 grammi, e anche nella maggiore attenzione alla gestione e fruizione del cibo: un dato quasi plebiscitario di 9 cittadini su 10 (l’88%) che dichiarano la propria cura nella predisposizione dei pasti, dedicando molta o parecchia attenzione, “anche se non ho molto tempo”.
E solo il 4% degli italiani dichiara di non avere a cuore la cucina del cibo, per mancanza di tempo o di passione. Il 95% degli italiani dichiara la sua attenzione alla prevenzione dello spreco: il 59% si dice “attentissimo”, perché non si deve sprecare niente e il 36% è “per lo più attento, ma qualche volta buttiamo via del cibo”. E ancora: 1 italiano su 2 (52%) dichiara di acquistare sempre frutta e verdura di stagione, 6 italiani su 10 (63%) si accertano che il cibo a rischio deperibilità venga mangiato prima. Per questo il 58% congela il cibo che non riesce a mangiare subito.
Le cause dello spreco sono spesso attribuite alla conservazione a monte della filiera alimentare: più di 1 italiano su 3 (37%) sostiene che “frutta e verdura spesso sono conservate in frigo e quando le porto a casa vanno a male”, il 29% che “i cibi venduti sono già vecchi”, il 31% ammette che “me ne dimentico e scade/fa la muffa/marcisce/si deteriora” e che “ho sempre paura di non avere a casa cibo a sufficienza”, il 29% dà la colpa alle troppe offerte.
La sincerità degli italiani affiora dalla domanda sulle difficoltà a tenere abitudini antispreco: 1 italiano su 10 si scoraggia perché il proprio comportamento non farebbe la differenza, sempre 1 su 10 sostiene che ‘costa troppo’, mentre 2 italiani su 10 (18%) dice che “richiede troppo tempo” e il 36% ammette che “non ci penso: me ne dimentico”. I tentativi virtuosi vedono in testa chi mangia prima il cibo che rischia di guastarsi (50%), e congela i cibi che non si possono mangiare a breve (47%), ma c’è anche chi fa il test con gli alimenti appena scaduto, e se il cibo sembra ancora buono lo utilizza: una pratica che coinvolge più di 1 italiano su 3 (39%), così come quella di valutare attentamente le quantità, prima di cucinare (37%), di fare la lista della spesa (35%), mentre solo il 28% privilegia l‘acquisto di piccoli formati e solo il 24% cerca di “fare il programma di cosa cucinare in ogni giorno della settimana.
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